a woman laying in the water with flowers in her hair

La scorsa settimana vi ho parlato di come sto tornando a scrivere. Una delle strategie più utili (e inaspettate) che ho messo in campo è stata l’intelligenza artificiale. Non scrive per me, non sarebbe corretto, ma se le dai gli input giusti può restituire spunti davvero interessanti. Uno di questi è diventato l’esercizio che vi propongo oggi.

Il personaggio dentro di te

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Immagina che dentro di te viva un personaggio. Non sei tu, ma ti conosce molto bene. Forse è la parte che scrive, che giudica, che sogna.
Dagli un nome, un volto, un modo di parlare. Dove vive? In un faro? In una soffitta? Dentro una scatola?

Poi scrivi un monologo o una breve scena in cui questo personaggio si rivolge a te.
Cosa vuole dirti? Ti incoraggia? Ti accusa? Ti mette alla prova?

La mia esperienza

Avevo intenzione di condividere qui il mio esercizio, ma mi sono fermata a metà. Quando ho dato un volto e un nome al personaggio che mi abita, mi sono accorta che quello che aveva da dirmi era troppo personale per essere riportato.
Vi racconterò però com’è fatto.

Il personaggio che mi abita sono io a ventun anni. Alta, magra, con lunghi capelli castani. Sono passati sedici anni, e alcune cose sono cambiate. Ho qualche capello bianco (ancora pochissimi, comunque) e un po’ di peso in più. Quello che mi ha più colpita è stato il carattere di questa ragazza: pragmatico, tagliente, sarcastico. È una giovane donna che si è sentita tradita da molte persone, compresa se stessa. E ora non fa più sconti a nessuno.

Mi ha sorpresa rendermi conto che quel carattere è lo stesso della mia antagonista. L’aspetto è diverso, ma l’anima è la stessa. Ovviamente non sono una pazza assassina in cerca di vendetta, ma qualcosa di me è finito dentro a quel personaggio.
E forse era inevitabile.

Di tormenti interiori e scrittura

Stephen King una volta ha scritto:

I mostri sono reali, e lo sono anche i fantasmi. Vivono dentro di noi, e alle volte hanno la meglio.

Lui è riuscito a trasformare i suoi mostri in qualcosa di costruttivo. Quelle che scrive non sono solo storie indimenticabili, ma un modo per dare voce a ciò che vive dentro.
Personalmente, conosco molte persone che hanno scritto per elaborare un trauma. Non so se sia sempre la strada giusta, ma d’altra parte credo che ognuno debba rapportarsi alla scrittura a modo suo. Trovo interessante il fatto che, quando si scrive, in un modo o nell’altro si torna sempre dentro di sé e si finisce col mostrarsi anche senza volerlo.

Io non ho scelto consapevolmente di mettere me stessa nel mio romanzo. Nel mio caso non è un atto terapeutico. Per quello c’è la terapia, su cui investo tempo e denaro da dieci anni.
Ma quando scrivi riporti quello che conosci. Lo trasformi, lo filtri, gli dai una voce. E a volte, chissà, finisci anche col farci pace.

Non so cosa succederà. So solo che da questo esercizio Patricia è finalmente nata.
E non se ne andrà finché non racconterò la sua storia.

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