Il “mi dispiace” è il pronto soccorso delle emozioni umane. È quello che dici quando rovesci una tazza di caffè, o mandi fuori pista una boccia quando giochi a bowling. Il vero dolore è raro come il vero amore.
Stephen King – Carrie
Questo sarà un articolo un po’ più personale del solito e probabilmente anche più confuso.
Mi rendo conto che la citazione qui sopra non si intona molto con quello di cui sto per raccontarvi, così come la canzone che vedete linkata qui sotto ci sta come i cavoli a merenda, ma sono giorni che entrambe continuano a risuonare nella mia testa come un malinconico sottofondo a quello che sto vivendo.
Due giorni fa è morta una persona a cui tenevo molto e mi sono ritrovata in una sorta di pausa forzata. Ho articoli pronti e cose programmate, ne devo programmare altre, ma la mancanza di questa persona si fa sentire tantissimo e mi chiude in una bolla di dolore che mi rende faticoso affrontare tutto.
Quindi mi ritrovo in questo strano dualismo in cui una parte di me piange a ciclo continuo e l’altra continua a lavorare e a progettare con una forza che non mi aspettavo nemmeno io. Allora vado avanti e faccio quello che faccio di solito, solo più rallentata. A volte “vince” quella parte di me che vuole andare avanti, perché non mi serve deprimermi e lei non l’avrebbe voluto, altre volte (più spesso, in verità) cedo le redini alla tristezza.
In questo momento, scrivere di getto incanala la sofferenza e l’impressione che ne ricavo è che anche questa situazione abbia un senso, anche se in realtà non lo trovo e questo mi fa male.
La persona che è morta era la mia insegnante di lettere quando frequentavo le scuole medie. È stata la prima insegnante che ha creduto in me come studente e come scrittrice, ha incoraggiato il mio amore per la lettura facendo sì che io la amassi con tutta l’anima. È stata meno efficace con lo studio, ma lì era più responsabilità mia che sua, non mi è mai piaciuto stare china sui libri di scuola, anche se le capacità per ottenere ottimi risultati l’avevo eccome.
Ricordo che, quando avevo una sua lezione all’ultima ora, mi prendevo sempre qualche minuto per fare due chiacchiere con lei prima di tornare a casa. Il bello è che questo dettaglio è sfuggito alla mia memoria per tanti anni e l’ho ritrovato solo adesso.
Per me quella prof ha sempre rappresentato l’idea di come dovrebbero essere gli insegnanti. Logico, non era perfetta, aveva i suoi momenti in cui perdeva la pazienza e, per quanto fossero rari, c’erano anche dei momenti in cui non riuscivo a sopportarla. Ero un’adolescente, dopotutto, e lei un essere umano come tutti. Eppure c’è sempre stata, non si è mai tirata indietro e, inoltre, ha svolto molto bene il suo lavoro stimolando il nostro interesse tramite un progetto interculturale, facendoci leggere libri, con lezioni di educazione sessuale e sentimentale, il tutto ovviamente facendo squadra con gli altri nostri insegnanti.
Gli anni sono passati e ho sempre cercato di andare a trovarla a scuola. I contatti si sono diradati sempre di più quando è andata in pensione. E ora che non c’è più mi sento male, perché conoscerla è stato un privilegio che ho dato troppo per scontato, a maggior ragione se penso che il mio desiderio di scrivere ha preso forma grazie a lei.
Non l’ho comunque dimenticata, era sempre un grandissimo piacere incontrarla quando andavo a Padova, e certi miei articoli glieli ho anche dedicati.
Voglio sperare che in qualche modo, ovunque sia ora, riesca a leggere questo e spero, spero vivamente che sappia che ha significato davvero tanto per me. Sarà stranissima e un po’ vuota la vita senza di lei, da oggi in poi.
Grazie, prof. Grazie di tutto.